Musica anni 60 e oltre. Tutto ciò che di bello è stato fatto nel panorama musicale mondiale
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ApprofondimentoMusica
Jerry Garcia, il profeta della West Coast lisergica
25 anni fa moriva il leggendario chitarrista dei Grateful Dead, simbolo della controcultura anni Sessanta e Settanta
DI ERNESTO ASSANTE
Venticinque anni fa, il 9 agosto del 1995, moriva Jerry Garcia, musicista, fondatore dei Grateful Dead, figura centrale della controcultura americana degli anni Sessanta e dell’intera storia del rock. Con la sua scomparsa si chiudeva definitivamente un’epoca, che in realtà era già finita molti anni prima ma della quale lui, assieme ai Grateful Dead, teneva ancora accesa la fiamma. Un’epoca iniziata all’alba degli anni Sessanta, in California, quando il diciottenne Jerome John Garcia, nato a Oakland nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, aveva iniziato a preferire la musica allo studio e con la sua chitarra e il banjo inizia suonare nel circuito del folk e del bluegrass.
Ma la California di quegli anni non era esattamente la terra della Old Time Music, piuttosto un laboratorio straordinario di ipotesi vitali, di sogni e desideri, che Garcia interpreta assieme a un pugno di amici che come lui immaginano una vita nella musica e in un mondo nuovo. Con Ron “Pigpen” McKernan, Bob Weir, Phil Lesh e Bill Kreutzmann fonda i Grateful Dead e la loro musica, impregnata di blues, diventa la colonna sonora della stagione psichedelica di San Francisco. Suonano per gli Acid Test di Ken Kesey, assumono come tecnico del suono il più leggendario produttore di LSD della baia, Owsley Stanley III, mentre Garcia sposa una delle più brillanti esponenti dei Merry Prankster, Carolyne Adams, più nota come Mountain Girl, e scrive assieme a Robert Hunter, che si occupa come poeta di trovare le parole per dirlo, la mappa di un nuovo mondo che è visionario, fantastico, libero e nuovo.
Garcia è un musicista, ama la musica più di ogni altra cosa, passione che ha ereditato dai genitori, entrambi musicisti, ma vive la nuova cultura giovanile con passione e coinvolgimento completi, assieme alla band con la quale costruisce una vera famiglia, una comunità, che ogni sera sale sul palco e lascia andare libera la creatività per creare arte e bellezza, attraverso le canzoni, con grandi spazi ad un improvvisazione di tipo jazzistico ma grande amore per la tradizione musicale americana, per il blues, il country, il folk. E questo spirito comunitario e collettivo viene trasmesso ogni sera al pubblico, che li segue fedelmente e costruisce a sua volta una incredibile e sempre più ampia comunità, i “deadheads”, che amano la band non solo per la musica, ma per quello che rappresenta, ovvero libertà, speranza, amore e bellezza.
Garcia è stato una figura centrale nella musica americana del Novecento, ha collaborato con tantissimi musicisti mettendosi al servizio dell’arte, al fianco di Bob Dylan come di David Crosby, ma anche con Michelangelo Antonioni per la colonna sonora di Zabriskie Point, con artisti e scrittori, lasciando sempre dietro di se una scia di stima e di affetto. Gli album leggendari della band californiana vanno ricordati, da Aoxomoxoa a Workingman’s Dead, da Anthem of the sun a American Beauty, citandone solo alcuni, ma sono stati i concerti, le straordinarie esibizioni della band, nelle quali Garcia era un creativo direttore d’orchestra, a rendere la loro storia unica. Concerti che potevano durare ore, che erano ricchi di creatività e improvvisazione, in cui Garcia con la sua chitarra consentiva a se stesso di superare limiti e confini, di mescolare linguaggi e sensazioni. Concerti passati alla storia, come quello davanti alle Piramidi, in Egitto, o dimenticati, come quello di Woodstock che nemmeno è finito nel film o nei dischi.
Venticinque anni fa Jerry Garcia scomparve per aver perso la sua battaglia contro la dipendenza dalle droghe, mentre cercava di liberarsene in un centro di disintossicazione, battaglia che ha combattuto a lungo e che alla fine lo ha visto soccombere. Ma fino all’ultimo, fino a pochi giorni prima della sua morte, viveva ancora nella musica, con la musica, per la musica, come ha fatto in tutta la sua vita, regalando agli altri gioia e felicità.
Tra le moltissime testimonianze sono apparse sul web come tributo alla sua memoria, e che Variety ha in particolare ha raccolto, ce ne sono due che vale la pena di ricordare. Quella di David Crosby, suo eterno amico, fratello, collaboratore, ma soprattutto quella di Bill Walton, grande campione di basket, stella degli L.A.Clipper e dei Boston Celtics, che spiega, in poche parole la forza della musica di Jerry Garcia e l’importanza della sua storia: “Io sono quel che sono grazie ai Grateful Dead. Mi hanno dato forma, mi hanno modellato, mi hanno guidato e ispirato e sollevato e sostenuto quando non poteva camminare e mi hanno portato in posti dove non sarei mai arrivato per mio conto. La mia vita è stata definita da speranza, opportunità, scopo, fierezza, lealtà e gratitudine. Ma è stata anche, in maniera determinante, focalizzata sulla salute, la comunità e la disponibilità per gli altri. Tutte cose che si applicano alla storia dei Grateful Dead. Trovare nuove strade davanti a noi, fare quello che non è stato fatto prima, tutte queste cose si applicano non solo a quello che stiamo attraversando nella nostra vita, ma alla storia dei Grateful Dead, alla storia di Jerry Garcia. Gliene siamo grati e pensiamo ancora a lui”.
Ma la California di quegli anni non era esattamente la terra della Old Time Music, piuttosto un laboratorio straordinario di ipotesi vitali, di sogni e desideri, che Garcia interpreta assieme a un pugno di amici che come lui immaginano una vita nella musica e in un mondo nuovo. Con Ron “Pigpen” McKernan, Bob Weir, Phil Lesh e Bill Kreutzmann fonda i Grateful Dead e la loro musica, impregnata di blues, diventa la colonna sonora della stagione psichedelica di San Francisco. Suonano per gli Acid Test di Ken Kesey, assumono come tecnico del suono il più leggendario produttore di LSD della baia, Owsley Stanley III, mentre Garcia sposa una delle più brillanti esponenti dei Merry Prankster, Carolyne Adams, più nota come Mountain Girl, e scrive assieme a Robert Hunter, che si occupa come poeta di trovare le parole per dirlo, la mappa di un nuovo mondo che è visionario, fantastico, libero e nuovo.
Garcia è un musicista, ama la musica più di ogni altra cosa, passione che ha ereditato dai genitori, entrambi musicisti, ma vive la nuova cultura giovanile con passione e coinvolgimento completi, assieme alla band con la quale costruisce una vera famiglia, una comunità, che ogni sera sale sul palco e lascia andare libera la creatività per creare arte e bellezza, attraverso le canzoni, con grandi spazi ad un improvvisazione di tipo jazzistico ma grande amore per la tradizione musicale americana, per il blues, il country, il folk. E questo spirito comunitario e collettivo viene trasmesso ogni sera al pubblico, che li segue fedelmente e costruisce a sua volta una incredibile e sempre più ampia comunità, i “deadheads”, che amano la band non solo per la musica, ma per quello che rappresenta, ovvero libertà, speranza, amore e bellezza.
Garcia è stato una figura centrale nella musica americana del Novecento, ha collaborato con tantissimi musicisti mettendosi al servizio dell’arte, al fianco di Bob Dylan come di David Crosby, ma anche con Michelangelo Antonioni per la colonna sonora di Zabriskie Point, con artisti e scrittori, lasciando sempre dietro di se una scia di stima e di affetto. Gli album leggendari della band californiana vanno ricordati, da Aoxomoxoa a Workingman’s Dead, da Anthem of the sun a American Beauty, citandone solo alcuni, ma sono stati i concerti, le straordinarie esibizioni della band, nelle quali Garcia era un creativo direttore d’orchestra, a rendere la loro storia unica. Concerti che potevano durare ore, che erano ricchi di creatività e improvvisazione, in cui Garcia con la sua chitarra consentiva a se stesso di superare limiti e confini, di mescolare linguaggi e sensazioni. Concerti passati alla storia, come quello davanti alle Piramidi, in Egitto, o dimenticati, come quello di Woodstock che nemmeno è finito nel film o nei dischi.
Venticinque anni fa Jerry Garcia scomparve per aver perso la sua battaglia contro la dipendenza dalle droghe, mentre cercava di liberarsene in un centro di disintossicazione, battaglia che ha combattuto a lungo e che alla fine lo ha visto soccombere. Ma fino all’ultimo, fino a pochi giorni prima della sua morte, viveva ancora nella musica, con la musica, per la musica, come ha fatto in tutta la sua vita, regalando agli altri gioia e felicità.
Tra le moltissime testimonianze sono apparse sul web come tributo alla sua memoria, e che Variety ha in particolare ha raccolto, ce ne sono due che vale la pena di ricordare. Quella di David Crosby, suo eterno amico, fratello, collaboratore, ma soprattutto quella di Bill Walton, grande campione di basket, stella degli L.A.Clipper e dei Boston Celtics, che spiega, in poche parole la forza della musica di Jerry Garcia e l’importanza della sua storia: “Io sono quel che sono grazie ai Grateful Dead. Mi hanno dato forma, mi hanno modellato, mi hanno guidato e ispirato e sollevato e sostenuto quando non poteva camminare e mi hanno portato in posti dove non sarei mai arrivato per mio conto. La mia vita è stata definita da speranza, opportunità, scopo, fierezza, lealtà e gratitudine. Ma è stata anche, in maniera determinante, focalizzata sulla salute, la comunità e la disponibilità per gli altri. Tutte cose che si applicano alla storia dei Grateful Dead. Trovare nuove strade davanti a noi, fare quello che non è stato fatto prima, tutte queste cose si applicano non solo a quello che stiamo attraversando nella nostra vita, ma alla storia dei Grateful Dead, alla storia di Jerry Garcia. Gliene siamo grati e pensiamo ancora a lui”.
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